Mi tuffo nei miei pensieri,

                                                                                        volo sopra il mondo (Chagall)

L‘attività immaginativa rappresenta una sorta di grimaldello che apre le porte della conoscenza e della dimensione prospettica, all’interno della quale sono calati i fenomeni interni ed esterni alla Psiche, intesa questa come totalità della coscienza e dell’inconscio; vero e proprio utensile con cui mettersi all’Opera per vedere in trasparenza e leggere simbolicamente i misteri dello sviluppo della coscienza personale e collettiva, sullo sfondo di una tela su cui si staglia l’inconscio collettivo. 

Volgere lo sguardo alle immagini, collocarle in trasparenza, negli spazi dell’Anima, junghianamente intesa anche come  archetipo mercuriale del senso della vita, farsi attraversare in maniera compartecipata e dialogica  dalle sue valenze  evocatrici, per poi lavorare come uno scultore  fa con un pezzo di marmo informe, estraendo l’invisibile contenuto  in ogni forma apparente.

 Dare forma e presenza alle immagini, metaforicamente dipingendole, per distanziarle dal proprio Sé e guardarle come un dono che l’inconscio personale e collettivo offre in maniera prospettica alla coscienza, un autentico messaggio simbolico che ha qualcosa da comunicare  a proposito del passato, del presente e del futuro.

Questo è il compito che spetta oggi alla psicoterapia che si occupa di simboli e di immagini, nutrendo il pensiero di tinture alchemiche  per dare spessore e consistenza al fare creativo. Come ha ben sottolineato C.G.Jung la creatività è un istinto al pari di quelli biologici e l’allontanamento dall’ insopprimibile esigenza dell’Anima umana di

creare, modellare, costruire e lasciare una traccia dipinta sulla tela della propria esistenza, può contribuire alla nascita delle storture del pensiero, con la presenza del disagio psicologico. Tutto ciò possibilmente favorendo, accanto a tutta una serie di condizioni soggettive ed oggettive, la nevrosi esistenziale, intesa come blocco dell’energia numinosa, l’ingresso sulla scena delmonstrum e allora “il sonno della ragione genera mostri” (1).

L’intuizione creativa di Jung ha permesso di comprendere e concettualizzare ulteriormente l’humus della Psiche oggettiva, partendo innanzitutto dalla propria vita e dai suoi conflitti interni, dal rapporto con l’imago dei e dal suo spirito empirico di ricercatore che tende verso la verità psichica:”L’autobiografia è la mia vita esaminata alla luce delle conoscenze che ho acquisito con le ricerche scientifiche. Tutte e due sono una cosa sola – la vita e le ricerche ovviamente. – La mia vita, in un certo senso, è la stata la quintessenza di tutto ciò che ho scritto, e non viceversa. Ciò che sono e ciò che scrivo sono una cosa sola… Tutte le mie opere, tutta la mia attività creatrice è sorta da quelle iniziali fantasie e dai sogni”. (2)

Tutto questo ritornare alla centralità della propria esistenza,considerando la vita come un mandala in di-spiegamento e di-svelamento, autentico motore del libero accadere psichico, fa di Jung un uomo che  è sempre partito da se stesso non in senso narcisistico, ma dal suo essere uomo con tutte le contraddizioni del proprio stile  di vita e delle sue immagini. Allora il pensiero, affonda le radici nel cuore, non diventa arida costruzione intellettuale, parola vuota e scissa dal sentimento, ma in  relazione con l’aspetto emozionale e numinoso. Tale aspetto  afferrò Jung, piegandolo al volere della sua progettualità compresa dopo diversi anni, e per molti aspetti aperta sempre sul davanzale del mistero. In questo continuo confronto con l’inconscio, nel dibattersi  trala dimensione empirica, dalla quale non si è mai allontanato, e quella della forza del daimon, che si imponeva alla sua coscienza, Jung  ha vissuto l’esperienza in solitudine della discesa nella profondità attraverso sogni, visioni, immagini che sono culminate nella produzione del Libro Rosso. Il disagio proveniente dalla sua Anima, l’attenzione al mondo delle immagini in relazione alla creatività e alla distruttività, sia sul piano dell’inconscio personale che della storia dell’umanità, sfiora e attraversa le pieghe con i demoni della Psiche:

“Quando, nell’ottobre 1913, ebbi la visione dell’alluvione, questo avvenne in un periodo per me incisivo sul piano personale. Allora, all’età di quarant’anni, avevo ottenuto tutto ciò che mi ero augurato. Avevo raggiunto fama, potere, ricchezza, sapere e ogni tipo di felicità umana. Cessò allora dentro di me il desiderio di accrescere ancora quei beni, mi venne a mancare il desiderio e fui colmo d’orrore. La visione dell’alluvione mi sopraffece e percepii lo spirito del profondo, senza tuttavia comprenderlo. Esso però mi forzò causandomi un insopportabile, intimo struggimento, e io dissi: “ Anima mia, dove sei? Mi senti? Io parlo, ti chiamo…sei lì? Sono tornato, sono di nuovo qui. Ho scosso dai miei calzari la polvere di ogni paese e sono venuto da te, sono a te vicino; dopo lunghi anni di lunghe peregrinazioni sono ritornato da te. Vuoi che ti racconti tutto ciò che ho visto, vissuto, assorbito in me? Oppure non vuoi sentire nulla di tutto il rumore della vita e del mondo? Ma una cosa devi sapere: una cosa ho imparato, ossia che questa vita va vissuta. Questa vita è la via, la via a lungo vissuta. Questa vita è la via, la via a lungo cercata verso ciò che è inconoscibile e che noi chiamiamo divino. Non c’è altra via. Ogni altra strada è sbagliata. Ho trovato la via giusta, mi ha condotto a te, anima mia. Ritorno temprato e purificato. Mi conosci ancora? Quanto a lungo è durata la separazione! Tutto è così mutato. E come ti ho trovata? Come è stato bizzarro il mio viaggio! Che parole dovrei usare per descrivere per quali tortuosi sentieri una buona stella mi ha guidato fino a te? Dammi la mano, anima mia quasi dimenticata. Che immensa gioia rivederti, o anima per tanto tempo disconosciuta! La vita mi ha riportato a te. Diciamo grazie alla vita perché ho vissuto, per tutte le ore serene e per quelle tristi, per ogni gioia e ogni dolore. Anima mia, il mio viaggio deve proseguire insieme a te. Con te voglio andare a ascendere alla mia solitudine”. (3)

Mai come adesso, sul palcoscenico dell’Anima Mundi, albergano comportamenti distruttivi e terribili; Afrodite, dea della bellezza e del sapore profumato della vita, archetipo dalla cui sofferenza, lungo la sua corsa per la morte di Adone, le rose bianche diventarono rosse, il colore dell’energia e della passione, ha lasciato il posto alla presenza dei Titani liberati dagli Inferi dove il potente Zeus li aveva rilegati, dopo aver ristabilito la compresenza del politeismo archetipico, dando esistenza, dignità e voce  al molteplice accanto all’unità.

Le immagini titaniche invece prive di riflessione psichica, come in certe forme di psicopatie, si muovono autonomamente, occupano il topos fuori e dentro la Psiche; la energia distruttiva accompagna la visione monoculare del gigante Polifemo e i  fenomeni che accadono vengono collocati in una visione che tradisce la loro intima essenza immaginale, restando intrappolati in unLogos dorato.

La legge psichica della tolleranza verso la diversità, con i Titani,  non riesce a farsi riconoscere;l’acting-out impulsivo agisce senza coscienza, la forza muscolare del corpo si impone e la materia, nella sua forma bassa e mostruosa, primeggia come un sovrano tiranno sul cosmo intero. Il gioco tra l’immortale ed il mortale, le storie mitiche raccontate  di incontri furtivi ed inganni ermetici lasciano il posto ad un “terrore senza nome”(4). L’istinto scisso dallo spirito si muove autonomamente, mentre  la coscienza, allontanatasi dal mito, và in alto per poi cadere giù, nelle profondità, in una terra dura, compatta, non aperta ad essere fecondata dalle acque primordiali dell’energia archetipica creativa che scaturisce dal daimon Eros, archetipo dell’unione tra cielo e terra.

L’attività immaginativa in tale cornice epistemologica  non è qui intesa come una vana fuga nel mondo della phantasia , una speculazione metafisica infantile di stare con la testa fra le nuvole,percorrendo voli pindarici, da vette in cui osservare prometeicamente il mondo rimuovendo “la valle del fare Anima”(5)”, come spazio psichico e geografico per sperimentare le peregrinazioni delle relazioni umane  le trame e gli intrecci che accadono su palcoscenico della vita.

 L’attività immaginativa non è un contorno estetico che abbellisce poeticamente, come in un quadro di Kandisky, le linee e gli intrecci geometrici del pensiero, una sorta di pennellata folkoristica per tinteggiare di emozioni i rigidi astrattismi dell’Io; né tanto meno è un regredire nostalgicamente  verso la dimensione malinconica  di Saturno, in cui le esperidi riempiono il giardino del vivere, in cerca di un immaginale “paradisiaco, malinconico”, (6) dove la tensione degli opposti viene annullata in una fantasia arcaica dell’uroboros.

La via delle immagini ha una capacità autonoma  e strutturata  basata sulla polifonia dei significati, in quanto reggendosi sull’ambivalenza e sui paradossi, allarga l’evento reale in esperienza psichica, evidenziando come in un ventaglio la molteplicità dei diversi modi di vedere e per questo, poeticamente più vicino alla vita: “Fui travolto da questo torrente di lava, e il suo fuoco diede nuova forma e nuovo ordine alla mia vita. Fu la materia prima che mi costrinse a plasmarla; e le mie opere sono un tentativo, più o meno riuscito, di incorporare questa materia incandescente nella Weltanschauung del mio tempo.Quelle prime fantasie e quei sogni erano come magma fuso e incandescente: da essi si cristallizzò la pietra che potei scolpire. Gli anni più importanti della mia vita furono quelli in cui inseguivo le mie immagini interne. In quegli anni si decise tutto ciò che era essenziale; tutto cominciò allora.”(7)

Il pensiero, elemento di differenziazione nello sviluppo e nell’evoluzione della coscienza, nell’attuale periodo storico, non affonda più le sue radici nell’humus dei miti e ha girato lo sguardo verso il tramonto ..il sol niger  è comparso all’orizzonte; la nigredo è seduta sul trono della direzionalità dell’Anima Mundi e la terra, come in un antico detto alchemico, nera più del nero, non è più fecondata dallo spirito immaginale, mentre la colomba, tertium oppositiorum, simbolo dell’unione, è rimasta a terra piuttosto che librarsi nell’aria per congiungere ciò che il divino e il religioso ha sempre unito.

Il simbolo, nel mito di Demetra-Kore, è stata reciso, addormentato e coperto dal manto di neve in una terra fredda e sterile; Demetra, la madre terra, è adirata e a  lutto poiché la sua parte giovane e verginale, Kore, è stata rapita ed il sopra ha perso i contatti con il sotto: c’è frattura e separazione. La ciclicità come modello di pensiero, il rispetto del ritmo, “il mito dell’eterno ritorno” (8), la conoscenza del tempo del Kairos, rappresentano alcune delle matrici per la comprensione della dimensione  simbolica e psichica dell’inconscio collettivo. Il mito, danza mitica per percorrere i sentieri del sacro, non ha più un temenos dove potersi manifestare e la luce di Apollo cerca di penetrare massivamente nelle azioni di Hermes: allora tutto appare, si mostra virtualmente, appare asetticamente, tradendo la funzione dell’immaginazione che si pone come uno spartiacque borderline tra il noto e l’ignoto, il visibile e l’invisibile, la parola e il silenzio.

 La verticalità ovvero la profondità del pensare ha ceduto il posto all’orizzontalità dell’appiattimento; l’allineamento delle coscienze e l’omologazione del pensiero non sono più in grado di ospitare, come tipico della cultura mediterranea, la tolleranza e la diversità. Il fondamentalismo religioso ha relegato il senso della religiosità unicamente nei meandri narcisistici delle confessioni religiose e nelle proprie menti, ricorrendo all’immagine alchemica del leone che mangia il cuore, non permettendo pertanto all’atteggiamento religioso  di abitare nella nobiltà del cuore,  facendo invece germogliare  una sorta di oscurantismo che fa della coscienza una meteora che vaga in una volta celeste, buia, ovvero disorientata, priva di stelle lucenti e navigando spesso in un mare tempestoso. Allora l’altro, lo straniero, è visto come un rivale da abbattere e distruggere; Thanatos ha preso il posto di Eros piuttosto che vivere ciclicamente accanto, mentre il monoteismo psicologico è diventato il centro gravitazionale attorno a cui  la molteplicità degli dei, vere e proprie forze archetipiche, è avvertita come un vuoto paganesimo, metafore morte, statue di marmo prive di un’Anima, utilizzate come ornamento in un giardino abbandonato.  La bellezza sulfurea di  Afrodite, lo specchio riflettente di Atene, l’ermeticità di Mercurio, i misteri di Dioniso, la follia del dio Pan, la luce di Apollo, sono diventate parole vuote e metafore inconsistenti…e “gli dei sono diventati malattie”(9).

Le immagini scisse dal sentimento e dal pensiero creativo, flessibile e divergente, non abitano più nei luoghi familiari, non popolano le dimore di Estia, dea dell’intimità e dell’interiorità e allora l’azione spettacolare, eclatante  non crea immagini ma tende virtualmente  a riproporre coattivamente gli aspetti ancestrali, arcaici e primitivi della Psiche. Il temenos di Eros è stato profanato e il daimon della sospensione fenomenologia  è stato soppiantato dall’impulso ad agire, subito, in fretta,  senza circumnavigare, come nel movimento della spirale, intorno al castello del re, in attesa del “tempo del passaggio e della  crisi trasformativa” ( 10)

Racchiuso nella sua mutacica sofferenza, privo dell’aiuto divino, allontanatosi dall’unione col cosmo, il re attende in silenzio che l’imaginatio risvegli la coscienza e che la gestal  ristabilisca la comprensione olistica, piuttosto che quella parcellizante e frammentaria; nel frattempo l’istinto naturale pascola per campi infiniti e la coscienza, come un albero cresce verso l’alto dimenticando le radici del passato, quelle del mito, del microcosmo – macrocosmo e della scintilla divina plotinica presente in ognuno come tensione verso il non conosciuto, l’ignoto e tutto ciò che non è lecito sapere con i semplici strumenti della razionalità. Pertanto l’immaginazione diventa, come sempre, la linfa che scorre nelle venature degli alberi: nutre, bagna, rinnova e trasforma ciò che è Senex,  quest’ultimo vero archetipo della struttura della coscienza, nonché depositario degli schemi prefissati e prestabili, opponendo resistenza al cambiamento e a nuove prospettive che si affacciano sui davanzali delle finestre della nostra interiorità e di quella del mondo là fuori.

 L’immaginazione, secondo tale prospettiva, dà un respiro profondo e cambia  la visione di sé stessi, permette l’incontro ed il confronto, come quando puntualmente sogniamo  nella braccia di Morfeo, con una realtà altra da noi sconosciuta, eppure che c abita e attraversa le porte simboliche delle immagini notturne, in quanto “l’immaginazione non crea le immagini, ma le distorce”(11), apre una ferita nella forma, un varco in cui penetrare per cercare i misteri dell’eternità…la ferita del re, il santo Graal.

L’attività immaginativa  si nutre del mondo notturno, popola i sogni, impedisce di rimanere intrappolati negli aspetti emozionali – istintivi e come in una tela di Chagall si creano figure e forme che si pongono all’attenzione del pensiero per elaborare, riflettere, comprendere e trasformare la realtà interna ed esterna. In questo dialogo dialettico tra il pensiero e l’immaginazione, la coscienza può procedere non per salti, movimenti rapidi e bruschi, ma appoggiando i piedi nell’esperienza della materia, nel costante e faticoso lavorio su sé stessi, col confronto con le immagini che il sociale pone e con quelle che ci visitano di notte che spesso sono, come accade nei sogni, una sberla al narcisismo dell’Io: ci invitano a raddrizzare il timone, gradualmente seguire la rotta, secondo i movimenti e le pieghe dell’inconscio, con la consapevolezza di fare parte di un ampio processo circolare e con uno  nuovo stile della coscienza approdare, come Ulisse nella sua amata Itaca e ri-salpare per nuove acque, nuove conoscenze, lungo l’asse inconscio-coscienza.

La strada dell’immaginazione però non è una via facile, priva di pericoli ed insidie; lo sapevano bene gli alchimisti  quando ammonivano gli uomini ad immaginare con la vera imaginatio il processo di trasformazione del piombo nell’oro filosofico. Infatti una delle ombre dell’immaginazione  è l’imitatio, una specie di copia del modello ideale, identificandosi con esso, acquisendo sicurezza e protezione, poiché i sentieri sono già stati battuti da altri e la via non è sconosciuta. Con l’imitatio si ha la certezza  di aggrapparsi  al già esistente, piuttosto che sperimentare da sè il viaggio dell’Anima L’immaginazione invece apre la strada all’iniziazione, che dal punto di vista psicologico: “comincia nella confusione e nell’arretramento, una oscurità caratterizzata dalla perdita del modello e del potere. Essere nudi, impotenti, sanguinanti, doloranti, soli, impreparati al compito che ci attende e bisognosi degli anziani, sentirsi spaventosamente giovani, sono queste le esperienze iniziatiche”(12).

Il potere dell’immaginazione come ben evidenzia il Libro di Lambsring, presuppone la morte del re da parte del figlio come condizione necessaria per un processo di rinascita  di entrambi, uniti dalla guida alata di Mercurio:”Il bagno di rinnovamento del vecchio re provoca la sua miracolosa rinascita nel figlio. Emergendo dalle acque unificanti della solutio padre e figlio sono seduti sullo stesso trono con Mercurius. La sua presenza completa l’identità di padre e figlio all’interno di una struttura trinitaria.”(13).

 In termini psicologici ciò significa che ogni coscienza schematica, rigida, preordinata, deve essere metaforicamente trasformata per dare spazio al rinnovamento e alla rinascita di una nuova acquisizione nata dalla capacità  di poter integrare nella luce della coscienza parti del mondo immaginale, dell’inconscio personale e collettivo. Tutto ciò comporta la caduta del vecchio re, che lasciato da solo, con le sue ferite è in attesa del giovane Parsifal che emette la domanda cruciale sfuggita a menti troppo letteralizzate e poco immaginative: dove è il Graal?, ovvero dove è il Centro?. L’immaginazione, e questo lo sa bene chi la utilizza come pratica terapeutica e di conoscenza di se stessi, porta al centro del fenomenico: lo commenta,  amplifica, trova connessione, intrecci, analogie, metafore, per arrivare all’intima essenza, alla quinta essenza, ovvero a quello che gli psicanalisti junghiani chiamano il Sé, la meta del processo di individuazione, divieni ciò che sei.

Come l’irrigazione nei campi, l’immaginazione è un contenitore della rugiada mattutina, stimola creativamente e accompagna con la freschezza dell’intuizione  il pensiero razionale, esplorando le caverne buie dove alloggiano draghi e figure uroboriche e il cui risveglio, necessario, mette a dura prova la determinazione, la costanza dell’individuo e del sociale. Percorrere i meandri di immagini bizzarre ed invalidanti è un pericolo che accompagna ogni viaggio per la conquista della conoscenza  simbolica e la capacità di poter affrontare il monstrum è quella di possedere la passione  piuttosto che essere posseduti, in quanto dalla solidità, dalla stabilità e dalla identità flessibile della coscienza  dell’io è possibile dialogare col mondo immaginale senza essere travolti e inflazionati, pena il deragliamento della coscienza, con un viaggio senza ritorno, nelle zone desertifiche della Psiche. Pertanto guardare i fenomeni che accadano dalla prospettiva del pensiero immaginale comporta la presenza di una coscienza che sappia reggere agli urti delle immagini patologizzanti, accogliendo nel proprio ricettacolo, come una  madre personale e archetipica, la nascita di un bambino umano e divino, simbolo per eccellenza di quello che deve ancora avvenire.

Nel confronto con le immagini inconsce, quando si decide di aprire la porta “all’ospite straniero che bussa di notte”(14), l’uomo sa che la conoscenza  razionale e reale, importante in ogni processo di stabilità e di organizzazione, risulta insufficiente, carente e non comprensivo della totalità del sapere e che occorra una comprensione simbolica del conoscere. Pensare per immagini è uno stile particolare di pensiero, avviene non secondo un modello lineare e unicamente  basato sulla legge di causa – effetto, ma attraverso percorsi, strade e itinerari, che privilegiano le connessioni mitiche e immaginali che al pari degli assi cartesiani rappresentano i veri nodi, punti di incontro, il cui fulcro è costituito dalla conoscenza simbolica ed immaginale. In tale contesto il pensiero che nasce, viene costruito gradualmente, non è già dato in maniera preconfezionata, non nato ancora all’orizzonte, segue il ritmo ciclico della spirale piuttosto che quello di una retta all’infinito; è una coscienza che sullo sfondo dell’immaginale collega miticamente  gli eventi e i fenomeni, si sintonizza  lungo il tempo dell’esperienza psichica  e, come un artigiano o un alchimista che lavora al suo atanor, rispetta ciò che è in nuce aprendosi ad una concezione ciclica del tempo, richiamando il mito dell’eterno ritorno. La ricerca da parte del pensiero divergente del suo fratello gemello, il pensiero convergente, in tale contesto può avvenire, come indicato dallo stesso Jung nei suoi molteplici scritti, ripescando creativamente la conoscenza e il significato dei simboli presenti, per esempio nella visione alchemica, ricca di enigmi e autentici  tesori per poter esplorare le strutture  mitiche dello sviluppo della coscienza solare. Mi riferisco alla fase  della nigredo (annerimento della coscienza), albedo (nascita della coscienza) e rubedo (evoluzione della coscienza), come stadi immaginali che  delineano e strutturano le diverse fasi della nascita della formazione del pensiero simbolico, integrando la legge di causa – effetto con una approfondita riflessione sulla  epistemologia dei fenomeni di sincronicità con cui spesso nelle nostre ricerche  teoriche ed esperienziali veniamo in contatto “senza a volte sapere dare una adeguata collocazione a vari livelli.” (15).

 L’immaginazione richiede dunque disciplina, impone all’individuo un atto di responsabilità e di etica poiché il confronto con le forze irrazionali induce la coscienza individuale a un’attenzione fluttuante per canalizzare l’energia numinosa costruttiva/distruttiva connessa  ad ogni processo trasformativi, ogni volta che la materia e lo spirito si di incontrano  con la presenza dell’Anima, il terzo che congiunge gli opposti. Il confronto con la dimensione simbolica ed immaginale, senza il confronto dialogico e dialettico con la coscienza, attiva la fuoriuscita della libido che può anche imboccare sentieri distruttivi, inflazionando la coscienza dell’Io come avviene nei processi psicotici, producendo una frammentazione della  centralità, vivendo il naufragio in un mare tempestoso su una nave senza nocchiero. Gli enigmi della mente affascinano l’uomo primitivo e arcaico che è dentro ognuno,  e che desidera essere portato sulle spalle dall’uomo civile, in un costante confronto dialogico evitando identificazioni massive e inflazioni; l’immaginazione allora cambia lo sguardo, spinge lo spettatore ad essere attore, munito di una responsabilità etica per accogliere in maniera ospitale lo sconosciuto, lo straniero  con cui arrivare a un patto, prospettando l’idea della continuità, piuttosto che della segmentarietà, tra il dentro e il fuori. L’immaginazione ci ricorda che la ricerca dell’invisibile è una Cerca eterna e il compito di cui ognuno, secondo la propria storia, è portatore, rappresenta il senso della vita mentre il lavorio con le immagini, i processi di  riflessione e di elaborazione psichica della  realtà interna ed esterna,  diventano lo sfondo  a cui guardare quando le prove diventano difficoltose, impervie e che in fondo la complessità dell’esistenza è racchiusa in un granello di semplicità.

L’immaginazione intesa in tale senso si pone come la chiave che permette all’individuo e al collettivo di dare spazio ad un atteggiamento del pensiero sensibile, fluido, circolare che parte dall’autenticità del proprio essere, senza rimuovere le ombre, di quello che ognuno è, per proiettarsi alla ricerca di soluzioni  che costantemente inducono a guardare, régarder, sporgersi con gli occhi oltre il muro della propria ristretta  visione. Lo sguardo del pensiero ha bisogno di spingersi oltre il noto, non in una sorta di operazione speculativa e metafisica che allontana dalla realtà e dalla materia, poiché l’immaginazione, come si evidenzia anche dalla pratica clinica, ha connessioni ed intrecci col corporeo, il fenomenico, dal momento che il corpo è il contenitore dei simboli, anzi è esso stesso la strada per la conoscenza simbolica. In ambito psicologico questa consapevolezza, secondo una prospettiva immaginale e non nominalista, permette di evidenziare che la realtà psichica ha una sua valenza troppo spesso trascurata e che inoltre ogni processo di conoscenza passa attraverso l’unione tra l’artifex e la materia, così come avviene in ambito psicoanalitico ogni processo creativo attiva il transfert e il controtransfert, come nell’opus  dello scultore e di ogni artista esiste un reciproco scambio e cambiamento tra l’io e il tu,  dentro di noi e là fuori, in una sorta di contaminatio reciproca,  superando il dualismo degli opposti che la coscienza intrinsecamente ha trovato sulla strada dell’evoluzione per acquisire metodiche e prospettive che integrano, amplificano e allargano gli orizzonti quotidiani.

Mi sembra inoltre, sulla scia del lavoro di Jung, che l’immaginazione invece di andare alla ricerca delle cause, permette al paziente di stare nella relazione  hic et nunc, facendogli vivere la rete delle connessione analogiche, simboliche con il reale, per cui l’elemento causale si sposta alla dimensione del racconto e della narrazione. L’immaginazione attiva le strutture narrative che diventano chiavi per aprire il pensiero  verso un nuovo  stile di raccontare e curare la propria vita, sollecitando la dimensione evocativa e non solo quella interpretativa delle immagini. In tal sensol’immagine sorpassa uno schema cognitivo o un copione del pensiero che ha inaridito l’Anima legandola in una morsa sempre più stretta dei sintomi. La narrazione della propria storia pertanto non diventa ricostruzione minuziosa, dettagliata, quasi ossessione del passato, ma tessitura di una nuova trama che nasce nel presente della relazione terapeutica, luogo in cui si  le immagini si uniscono dialogicamente alle emozioni, ristrutturando una nuova forma o visione del Sé che determina una Weltanschaung aperta alla categoria delle possibilità,della trasformazione dalla realtà e dall’accettazione di ciò che non può essere trasformabile. La narrazione all’interno della relazione terapeutica, vero fulcro della cura, acquista una significazione da scoprire in itinere, calata nella storia del presente, proietta sullo sfondo di un passato che senza negarlo, tenta sempre di più ad assumere una connotazione immaginale, aprendosi verso la possibilità di una nuova significazione della propria realtà e del proprio dolore.

 Vorrei concludere tale lavoro, ritornando al Libro Rosso, crogiuolo alchemico di sofferenza umana, di intuizioni creativo e orizzonti  ricchi di senso, sui cui ogni uomo che si interessa al mondo della Psiche dovrebbe riflettere, al di là della propria impostazione teorica e visone del mondo. In queste pagine l’incontro, il rispetto e la devozione per l’Anima, intensa come realtà psichica ricca si significati per l’individuo e per il mondo, può aiutare a comprendere i paradossi dell’esistenza, la finitezza di noi umani e il tema  religioso dell’incontro tra il bene ed il male, tra i tesori e i draghi:

“Questo mi costrinse a dire lo spirito del profondo e al tempo stesso a viverlo contro la mia stessa volontà, perché non me lo aspettavo. In quel periodo ero ancora totalmente prigioniero dello spirito di questo tempo e nutrivo altri pensieri riguardo all’anima umana. Pensavo e parlavo molto dell’anima, conoscevo tante parole dotte in proposito, l’avevo giudicata e resa oggetto della scienza. Non credevo che la mia anima potesse essere l’oggetto del mio giudizio e del mio sapere; il mio giudizio e il mio sapere sono invece proprio loro gli oggetti della mia anima. Perciò lo spirito del profondo mi costrinse a parlare all’anima mia, a rivolgermi a lei come una creaturavivente, dotata di esistenza propria. Dovevo acquistare consapevolezza di aver perduto la mia anima. Da questo impariamo in che modo lo spirito del profondo consideri l’anima: la vede come una creatura vivente, dotata di una propria esistenza, e con ciò contraddice lo spirito di questo tempo per il quale l’anima è una cosa dipendente dall’uomo, che si può giudicare e classificare e di cui possiamo afferrare i confini. Ho dovuto capire che ciò che prima consideravo la mia anima, non era affatto l’anima mia, bensì un’inerte costruzione dottrinale. Ho dovuto quindi parlare della mia anima come se fosse qualcosa di distante e ignoto, che non esisteva grazie a me, ma grazie alla quale io stessi esistevo. Approda al luogo dell’anima colui il cui desiderio si distoglie dalle cose esteriori. Se non la trova, viene sopraffatto dall’orrore del vuoto. E, agitando più volte il suo flagello, l’angoscia lo spronerà a una ricerca disperata e a una cieca brama delle cose vacue di questo mondo. Impazzirà per la sua insaziabile cupidigia e si allontanerà dalla sua anima, per non ritrovarla mai più. Correrà dietro a ogni cosa, se ne impadronirà, ma non ritroverà la sua anima, perché solo dentro di sé la potrebbe trovare. La sua anima si trovava certo nelle cose e negli uomini, ma non la propria anima nelle cose e negli uomini. Nulla sa dell’anima sua. Come potrebbe distinguerla dagli uomini e dalle cose? La potrebbe trovare nel desiderio stesso, ma non negli oggetti del desiderio. Se lui fosse padrone del suo desiderio, e non fosse invece il suo desiderio, e non fosse invece il suo desiderio impadronirsi di lui, avrebbe toccato con mano la propria anima, perché il suo desiderio ne è immagine ed espressione. Se possediamo l’immagine di una cosa, possediamo la metà di quella cosa. L’immagine del mondo costituisce la metà del mondo. Chi possiede il mondo, ma non invece la sua immagine, possiede soltanto la metà del mondo, poiché l’anima sua è povera e indigente. La ricchezza dell’anima è fatta di immagine. Chi possiede l’immagine del mondo possiede la metà del mondo, anche se il suo lato umano è povero e indigente. Ma la fama trasforma l’anima in una belva che divora cose che non tollera e da cui resta avvelenata. Amici miei, saggio è nutrire l’anima, per non allevarvi draghi e diavoli in seno”.(16)

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE

1. Ortega Y Gasset J., Goya, Abscondita, Milano, 2007

2. Jaffè A.( a cura di), Ricordi, sogni,riflessioni, Rizzoli, Milano,1993

3. Jung C.G., Libro Rosso, Boringhieri, Torino, 2010

4. Bion,W.R Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Armando, Roma, 2009

5. Hillman J., Il mito dell’analisi, Adelphi, Milano 1979.

6. Klibansky R.-Panofsky E., Saturno e la malinconia, Einaudi, Torino, 1990

5. Eliade M, Immagini e simboli, Jacka Book, Milano, 1991

6. Hillman J., Anima, Adelphi, Milano 1989

7. Jaffè A.( a cura di), Ricordi, sogni,riflessioni, Rizzoli, Milano,1993

8. Eliade M, Immagini e simboli, Jacka Book, Milano, 1991

9. Jaffè A.( a cura di),, Ricordi, Sogni, Riflessioni,Rizzoli,Milano 1978

10. Van Gennep, Riti di passaggio, Boringhieri, Torino, 1981

11. Bachelard G., Psicoanalisi dell’acqua, Red, Como, 1987

12. Hillman J.,Variazioni su Edipo,Cortina, Milano 1989

13. Fabricius J., Alchimia, Mediterranee, Roma, 1997

14. Jung.C.G., in Opere IX, Boringhieri,Torino 1980

15. Hopcke R., Nulla succede per caso, Mondadori, Milano, 2003

16. Jung C.G., Libro Rosso, Boringhieri, Torino, 2010

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