“La madre Terra indusse i Titani ad assalire il padre loro, Urano; e così essi fecero, guidati da Crono, il più giovane dei sette che si era armato di un falcetto di selce. Colsero Urano nel sonno e Crono spietatamente lo castrò col falcetto, afferrandogli i genitali con la sinistra (che dal quel giorno fu sempre la mano del malaugurio) e gettandoli poi assieme al falcetto in mare presso Capo Drepano (…) Afrodite nacque dalla spuma delle onde fecondate dai genitali di Urano che Crono aveva gettato in mare”. (Graves)

Afrodite, la dea denudata del velo sottile e delicato, nata dalla castrazione del fallo dell’Archetipo paterno, ci ricorda che qualcosa è stato tagliato; nasce da una ferita che conduce alla coniucto e alla creazione come imponderabile manifestazione di quello che è. Con Afrodite la materia acquista uno spessore legato alla ricerca della congiunzione nell’intimità: il padre Saturno, signore del Tempo, ha subito una violenza da cui si è originata la forza del coinvolgimento emotivo non solo nelle pieghe della sofferenza della solitudine, ma anche nella passione per l’amore che esiste là fuori, l’Anima Mundi. Amare il mondo, considerare e riconoscere il legame col fenomenico, l’unione e l’armonia tra dentro e fuori vuol dire immaginare il Tempo della morte e della distruzione, che si staglia nella falce di Saturno, anche accompagnato dalla creazione di una traccia dipinta sulla tela, dell’esistenza umana.

Afrodite intesa come principio della forma cosmica ci invita a guardare il mondo con gli occhi dell’Anima e forse in questo modo possiamo dare un’anima al mondo e restituire il mondo all’anima: “Spetta a noi mantenere acceso il mondo (…) un mondo senza anima non potrà mai offrire intimità, non potrà mai ricambiare il mio sguardo, non  potrà mai guardarmi con interesse, con gratitudine (…) Ma nel momento che ogni cosa, ogni evento si presentano di nuovo come realtà psichica, allora io sono preso in un durevole e intimo colloquio con la materia. Allora Eros da principio universale, da astrazione del desiderio, discende nella scena erotica delle qualità sensibili presenti nelle cose, nei materiali, nelle forme, nei ritmi, nei movimenti”. (Hillman)

La cura dell’Anima richiede attenzione e passione e dopo l’avvolgimento interiore occorre aprirsi al mondo, uscendo dai limiti ristretti del narcisismo e del soggettivismo; la riflessione, diventa non più solo un ripiegarsi, ma estetica, spinta e calata nel corpo sinuoso di Afrodite e di una materia che si rifà all’immaginazione animale. Alle soglie di un’età di passaggio, periodo di trasformazione e di attivazione dell’immaginario collettivo, Afrodite ci introduce nel cosmo, non vuoto e astratto (il cosiddetto universo dei latini) ma impregnato di sapori, odori, colori e accompagnato dal fremito delle eccitazioni sciolte nel petto. Un mondo in cui la dimensione del corpo acquisita una connotazione non spirituale o trascendentale ma è accompagnato, per dirla con Keats, dalla “Valle del fare Anima”. La bellezza diventa non un armamento o qualcosa da appendere, ma secondo l’idea neoplatonica e rinascimentale, attivatrice di immagini, perché là dove c’è Pathos c’è Psiche e dove c’è Psiche c’è Eros…

“In Afrodite il desiderio non è quello di Eros che parte dal soggetto, dal richiedente (…) Sibbene dall’amato. Afrodite non è colei che ama, è la bellezza ridente, leggiadra che attrae. Primo non è qui l’impulso del ghermire, sibbene l’incanto della sguardo che potente attira nelle delizie dell’unione”. (Otto W.)

LE FERITE DELL’ANIMA MUNDI

“Ares si ingelosì e trasformatisi in cinghiale si precipitò su Adone che stava cacciando sul monte Libano e lo azzannò a morte… Nella sua corsa verso Adone, Afrodite, ferita dalle spine, dal suo sangue nacquero le rose, mentre il bianco anemone si imporporò del sangue di Adone”.

La ferita come una traccia affonda la sua esistenza in un corpo visibile tormentato dalla sofferenza di un’Anima che ha smarrito il contatto, dopo essere stata violentata e torturata, col centro della propria esistenza, e con la fluidità dell’immaginazione. È qui nella fissità delle immagini di putrefactio e di vuoto intorno all’essere, che la ferita può avvolgere in un manto di dolore mutatico e privo di logos, la facoltà di immaginare un mondo ed una esistenza aperta alla prospettiva teologica dell’essere verso il divenire.

E la ferita allora, di fronte a tanto terrore ed orrore, può come Medusa pietrificare lo sguardo dell’Anima conducendola verso un vuoto privo dell’incontro con l’altro, vivendo nella propria solitudo la disperazione del nulla.

L’Anima Mundi dipinta del colore bianco della veste di Afrodite è abbandonata alla disperazione della sua solitudine, smarrita tra palazzi anoressici, tra consumi maniacali e strutture rigide ed immobili; le città non vengono più costruite a misura del piede e del camminare ma sulla base degli occhi, occhi imprigionati in video o in macchina, dispersi come angeli in mezzo al traffico. La paura, la ricerca di luoghi archetipici che sono in sintonia con le immagini dell’inconscio collettivo hanno lasciato il posto a qualcosa di anonimo e spersonalizzato e la strada che conduce al centro di un’immaginaria fontana rinascimentale è sempre più difficile da trovare.

L’Anima Mundi, l’amore e la compassione per ciò che esiste là fuori, non devono ricondurci ad una visione idealizzante e nostalgica di ciò che apparteneva al passato, né tanto meno qui si avanza l’idea che il progresso non ha validità; quello che si cerca di provocare  è la chiamata di Kallos, il bello, in quanto la bellezza in questo mondo deve essere invocata perché l’Anima del mondo appare ferita nella sua immaginazione. È una ferita invisibile, di purezza, rimasta fissata nell’albedo e incapace di passare alla rubedo; è un’anima legata al concetto di Energia piuttosto che di Bellezza, che aspira a essere guardata nella unicità e nella singolarità degli eventi che accadono perché: “Non è la singolarità numerica che garantisce l’unicità, che deriva invece dal potenziale immaginale, dal Dio presente in quella cosa… torno all’antico Egitto dove ogni cosa parlava degli Dei che erano presenti in tutta la realtà, in una scatola di cosmetici, in una coppa, in un vaso”. (Hillman)

L’Anima Mundi oggi è rimossa e la ferita con cui esprime il proprio pathos riguarda un mondo sempre più ammalato d’amore, che ha perso la propria identità come realtà psichica, svuotato come un universo la cui sostanza si è inabissata tra il regno di Ade e la numinosità di Zeus; ma l’anima, come amava dire Keats, si trova a valle, nella sofferenza di Psiche che cerca di congiungersi con Eros…

“Il nuovo è la frammentazione, il moltiplicarsi degli esperti, la depressione, l’inflazione, la perdita di energia, l’esprimere in gergo la violenza. I nostri edifici sono anoressici, i nostri affari paranoidi, la nostra tecnologia maniacale”. (Sardello)

E ancora più oltre: “Ogni oggetto, per definizione, è gettato via prima ancora che sia finito di costruire; è cartaccia, cianfrusaglia priva di vita, che riceve il suo valore unico dal mio desiderio consumistico di possedere, trattenere, completamente dipendente dal soggetto che lo chiama alla vita col proprio desiderio”. (Hillman)

L’UNIONE DI AFRODITE CON HERMES 

Le nozze alchemiche di Afrodite con Hermes generano un giovane fanciullo che

racchiude la bellezza della madre e l’ambivalenza del padre; è la bellezza associata all’indeterminato che può condurre ad un possibile atto creativo sul cui sfondo si può intravedere la figura di Saturno, Signore del Tempo, con cui bisogna scendere a patti: “Il Tempo è solo nemico di Venere. Il desiderio di lei di un eterno fare l’amore è interrotto dal Tempo, quel senso proprio di Saturno di ferire nel vivo, di tagliare corto dove si dovrebbe indugiare”. (Loewe e Cobb)

Dall’altra parte Mercurio con la sua rapidità intuitiva squarcia il velo della coscienza e per un attimo penetra nella dimensione del numinoso; è la bellezza di Afrodite che tinge l’atto creativo rendendo brillante ciò che è indefinito, incerto e viaggiando nella ‘coniucto oppositorum’ che appartiene a Mercurio. “Si dice di lui che corre sua terra, godendo in egual misura dei buoni e dei cattivi. In esso ci sono due elementi passivi, terra ed acqua e due elementi attivi, aria e fuoco; in sé vi sono anche i quattro elementi e la quintessenza che chiamano  Coelum… l’uomo filosofico di sesso ambiguo… la figura simile ad Ermete attestata dagli scavi archeologici lo avvicina senz’altro a Saturno… Mercurio è realmente costituito dagli opposti più estremi: da un lato egli è indubbiamente più affine alla divinità; dall’altro viene trovato nelle cloache”. (Jung)

Afrodite, Mercurio duplex, Saturno… l’ambivalenza, l’indefinito penetrati dalla bellezza conducono all’immagine melanconica che colora tenuamente la creazione; il limite, il confine, gli opposti, dietro una visibile confusione, possono acquistare con Afrodite la forma dove la fluidità della vita può scorrere come il sangue e respirare come un respiro… non è a caso che nel “libro di Crates Afrodite appare con un vaso da cui scorre continuamente argento vivo” (Jung), acqua vitale. La creazione allora diventa una spinta verso l’incontro con l’altro, gesto in cui il corpo unito con l’Anima lascia una traccia, un segno straordinario nell’ordinario mondo umano; l’unione di Afrodite con Mercurio può gettare uno sguardo oltre la presenza di Saturno che come tempo scandisce ciò che passa: “Perché cominciare? Perché abbandonare il ritmo eternamente oscillante del Mare? Perché impegnarsi nella procreazione che porta degenerazione e morte?” (Loewe e Cobb)

Se la creazione si pone come gesto eterno aperto all’altro nell’incontro con ciò che è sconosciuto, Afrodite fa sbocciare col manto primaverile un bocciolo rinchiuso nella propria intimità, tutto ciò con la tensione di un tempo che scivola via e che può essere sperperato.

Se stiamo cercando, qui in questa sala, di provocare il bello e abbiamo raccontato con l’immagine le nostre ferite e quella dell’Anima Mundi, abbiamo preso coscienza con Afrodite, che la riflessione estetica può essere una delle tante modalità per interrogarci e cogliere il senso e la prospettiva teleologica di essere nel mondo di un nuovo millennio.

Con Afrodite, e la riflessione estetica, abbiamo dato respiro all’Anima del mondo e nella coniucto padre – figlia, introduciamo, quando Afrodite poggia i piedi sulla terra, l’incontro di una diversa e nuova unione, quella di Afrodite con Mercurio, la bellezza unita alla duplicità ermetica, alla ‘coniucto oppositorum’, perché è dallo scaturire di immagini in sintonia con gli archetipi che la trasformazione può essere attuata dal momento che mai come oggi che di fronte ad una coscienza individuale e collettiva che si incrina, può essere opportuno rintracciare i legami con le radici del nostro albero, poiché come Jung notava: “Stiamo vivendo in quello che i Greci chiamavano Kairos – il  momento giusto – per una metamorfosi degli dei, dei principi e dei simboli fondamentali. Questa peculiarità del nostro tempo, che non abbiamo certo scelto coscientemente, è l’espressione dell’uomo inconscio dentro di noi che sta mutando”.

Allora l’unione di Afrodite con Hermes, permette di guardare con un atto creativo, dal momento che le immagini mitologiche sono utensili necessari all’uomo per farlo uscire da una prospettiva unicamente razionale e letteralistica che lo ingabbia nel mondo dei fatti senza cogliere il senso della sua individualità. Le immagini gli aprono la strada per recuperare ed integrare il rapporto con la sua base istintuale, da cui si è allontanato polarizzandosi ed identificandosi con la coscienza, per cui ancora con Jung: “Se la sua coscienza si è allargata e differenziata la sua costituzione morale è rimasta immutata. Questo è il grande problema del giorno. La ragione sola non basta più”.

Allora Mercurio con la sua duplicità, “Io scendo giù nella terra e salgo in cielo”, porta al rinnovamento trasformativo dando senso ed esistenza all’acqua che si rinnova e fluisce perennemente… la creazione diventa un’attimo, dove l’abbraccio tra Mercurio ed Afrodite può mettere in ombra la presenza di Saturno. La sensualità e la bellezza di Afrodite accompagnata al “femminile, spirituale, vivo e dispensatore di Vita” (Jung), può concedere sonorità ad un mondo che forse, sempre più spesso, ha smarrito la musica delle immagini… ovvero le immagini che dall’udito arrivano al cuore.

Il lavoro con le immagini se può attivare la metafora della verticalità nell’incontro con Ade, ciò che è nascosto nelle pieghe della solitudine e nelle ferite e nei tormenti dell’Anima, può con Afrodite trovare espressione e forma nelle immagini di uno scultore: “Ritorna in te stesso e guarda: se non ti vedi ancora interiormente bello fa come lo scultore di una statua che deve diventare bella: egli toglie, raschia, liscia, ripulisce, finchè nel marmo appaia la bella immagine: come lui leva il superfluo, raddrizza ciò che è obliquo, purifica ciò che è fosco e rendilo brillante e non cessare di scolpire la tua propria statua finchè non ti si manifesti lo splendore divino della virtù e non veda la temperanza sedere su un trono sacro”. (Plotino)

AFRODITE E LA BELLEZZA DELL’ANIMA

Parlare intorno ad Afrodite vuol dire fare danzare l’Anima nei giardini della bellezza in cerca di immagini che nutrono la necessità dell’incontro con Eros; è nel tempio di Afrodite che Psiche, nella favola di Apuleio, “L’Asino d’Oro”, invoca la dea per ottenere la presenza del dio alato, volato via per essere stato tradito e scoperto da una lucerna. L’Anima spinta dalle onde fluttuanti si aggira con la sua leggiadra cadenza in cerca di passione colpita dalla freccia di Eros, scoccata seguendo le immagini del cuore e non della ragione. Per l’Anima il contatto, l’incontro, è una necessità e l’essere colpita appartiene alla sua natura, così come toccare l’intimità dell’altro. Non a caso alcuni studiosi di fronte alla “Primavera” del Botticelli, sostengono che Le Tre Grazie che danzano nel cerchio rappresentano, la Prudenza, il Piacere e la Bellezza: “Il quadro del Botticelli mostra Eros il Desiderio che scaglia la sua freccia fiammeggiante in direzione della Prudenza. Il dardo del desiderio e dell’attaccamento ci blocca di colpo: siamo presi dalla bellezza e avvertiamo il piacere che da essa proviene. All’esterno, naturalmente, non succede nulla”. (Moore)

È Afrodite che si colloca come un nodo d’amore al centro di una conchiglia dando esistenza, visione contemplativa e senso a ciò che accade intorno a lei. E intorno a lei Eros e Psiche si cercano, si incontrano, si abbandonano… Afrodite, allora si pone come un archetipo dell’Armonia e dell’Ordine cosmico; non un cosmo Vuoto e astratto ma come la giusta collocazione delle cose molteplici nel mondo: “Bellezza è allora proprio la sensibilità del Cosmo, il fatto che esso abbia una tessitura, una tonalità, dei sapori; che sia attraente. L’alchimia chiamerebbe sulfur questo splendore cosmico”. (Hillman)

La bellezza che deriva dal camminare nel giardino di Afrodite è poeticamente connessa al corpo; l’Anima nel suo coinvolgimento emotivo cerca l’unione con l’altro, vivendo il corpo nella sua presenza e nella carne come sostanza con cui entrare nell’intimità. Allora la bellezza che ispira Afrodite affonda il suo sguardo nella percezione di ciò che è visibile, privilegiando la presenza dei suoni, la fragranza degli odori, le sfumature dei colori, la delicatezza dei sapori. Qui andiamo a recuperare l’etimologia della parola greca estetica, la percezione dei sensi (Aisthesis) la cui radice rimanda alla parola ‘accogliere, ispirare’,: “Quel trattenere il fiato dalla meraviglia che è la risposta estetica primaria… La bellezza di Afrodite rimanda alla superficie lucente di ciascun evento particolare alla sua trasparenza, alla sua particolare brillantezza, al fatto stesso che singole cose si mostrino alla vista e proprio nella forma in cui si mostrano”. (Hillman)

Afrodite, l’anima di tutte le cose, si accosta alla presenza dell’esistente con il daimon Eros ed il fenomeno ed il visibile diventano il volto da guardare di fronte al quale l’estetica della profondità ci ricongiunge agli antichi movimenti di un corpo in cui trattenere il respiro e ricorda la nostra natura istintuale da cui troppo spesso ci allontaniamo per rivolgerci solamente al passato o in cerca dei significati.

Se la consapevolezza psichica, derivante dalla nekja nel mondo di Ade è una tappa indispensabile per la differenziazione degli opposti e de la dimensione teleologica fornisce spessore all’inquietudine umana, la risposta estetica, col mondo interiore e a quello che sta lì fuori, non può essere repressa e confinante in una vuota astrattezza apollinea… la risposta estetica risveglia le immagini del cuore che allargano la coscienza. Allora al mondo che è lì fuori, con Afrodite, viene restituita l’Anima del Cosmo e l’immagine della bellezza non diventa un decoro da abbellire e una fredda forma geometrica ma ferita da dove il corpo si può ricongiungere con l’Anima.

E le ferite affondano il taglio nella presenza di un corpo toccato; le immagini nascenti sono impregnate di sostanza e animate dall’incontro con la materia e dalla traccia del dolore lasciata dipinta nel cuore di ognuno di noi.

È qui nel temenos della coscienza immaginale che il cuore si risveglia dalle letteralizzazioni  di organo fisiologico e diventa esperienza psichica attraverso l’incontro con lo stupore e la meraviglia e ad esso dobbiamo ricorrere per avvertire la bellezza delle immagini che affondano le radici nel ritmo delle emozioni, pulsando come il respiro e impregnate di metafore che diventano carne. È qui che il logos, come in una paziente opera alchemica, si tinge dall’incontro con Eros e la parola non diventa inflazionala dal nominalismo ma evoca attraverso la dimensione simbolica, la tristezza, poiché, per dirla con Jung, “Gli dei sono diventati malattia”.

Afrodite, allora con la sua nudità, mette la nostra Anima a nudo, priva di argomentazioni apollinee, ma bisognosa di essere coperta e toccata dall’incontro con l’altro, dal cui dialogo prende forma e sostanza lo spazio riflessivo della coscienza immaginale.

Il corpo nudo di Afrodite, il cuore risvegliato dalla profondità della percezione dei sensi, la ferita dell’abbandono e la nostalgia della perdita richiedono cura e attenzione per l’Anima, e l’Anima oltre ad essere immaginata ed avvolta nel paziente e necessario lavoro interiore, fondamento per ogni processo individuativo, preferisce essere accompagnata anche all’Anima Mundi: “Immaginiamo piuttosto l’Anima Mundi come quella particolare scintilla di Anima, quella immagine seminale, che si offre attraverso ogni singola nella sua forma visibile. L’Anima Mundi indica allora quelle possibilità animate che ciascun evento così come è presente… la sua disponibilità all’immaginazione”. (Hillman)la bellezza dell’Anima diventa allora una invocazione, una strada per l’immaginazione; il giudizio è temporaneamente sospeso e la presenza dell’evento diventa ricettacolo dove il divino può manifestarsi; gli dei senza Afrodite, non potrebbero trovare espressione, vuoti nomadi privi della risonanza con l’essere. È Afrodite che dispone la molteplicità dei colori in sintonia con le singole forme archetipiche; è essa che permette di leggere gli eventi che accadono non solo con gli occhi della storia ma con la sensibilità dell’udito. La riflessione alla sensibilità permette di stare con le immagini che l’evento intelligibilmente contiene al suo interno; è l’Anima che chiede, circondata fiori di Afrodite, di educare l’Io alla sensibilità riflessiva per ciò che appare e per la natura che ama nascondersi, di dare ascolto al cuore come crogiolo estetico da dove l’immagine di Eros può congiungersi con l’Anima Mundi.

Soffermarsi sulle immagini di Afrodite dà spazio e presenza visibile a ciò che è racchiuso tra le pieghe della sofferenza interiore derivante dall’incontro con Ade. È con Afrodite che la tela dell’esistenza si costituisce come crocevia in cui l’uomo s’incontra col divino e gli dei nella loro diversità possono trovare espressioni e comunicare tra di loro: “Grazie e lei il Divino poteva essere visto e udito, odorato, gustato e toccato. Lei rese manifesto il pensiero divino”. (Hillman)

In tale cornice, le immagini di Afrodite diventano sorgente vitale a cui attingere per entrare in contatto con la propria dimensione fatta di ombra e numinosità; e se con Shakespeare l’uomo è fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, l’immaginazione diventa non uno sterile processo del pensiero, bensì attività dell’anima stessa che affonda le radici nel sangue come energia libidica e nel corpo come presenza sincronica ed analogica della relazione tra microcosmo e macrocosmo. Allora stare con le immagini scaturite dal profondo può costituire una via da percorrere durante il lavoro interiore: guardare in se stessi per poter poi rivolgere lo sguardo all’Anima Mundi.

BIBLIOGRAFIA

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